Impressioni sul 15 ottobre. BlackBloc e Polizia
Il 15 ottobre: lo spettacolo è politica
16 OTT 2011 BY FRANCESCO MIGLIACCIO
Due soggetti hanno dominato la scena di Roma, il 15 ottobre: erano preparati,avevano previsto con ottima approssimazione il corso degli eventi, sapevano come agire.
La polizia ha blindato il centro politico della città: ogni traversa di Via Cavour che conducesse verso Montecitorio era presidiata, così come gli altri accessi possibili da Piazza del Colosseo. Una presenza silenziosa, invisibile fino agli scontri. Qualsiasi deviazione del corteo era impossibile, nessuno sfondamento è stato tentato: un fluire inevitabile verso Piazza San Giovanni.
I protagonisti della rivolta hanno agito come una macchina perfetta. Nessun assembramento evidente nel concentramento di Piazza della Repubblica, piccoli gruppi sparuti costellavano diverse zone della piazza, si aggregavano e si disperdevano fra diversi spezzoni. Una flessibilità che ha permesso alle prime frange di rivoltosi di colpire (qualche vetrina, una stazione di benzina e due macchine in Via Cavour) per poi mimetizzarsi nel corpo del corteo. Una strategia a focolai multipli che si è allargata fino ai coinvolgere diverse zone del corteo: dai cassonetti in Via Merulana agli uffici ministeriali in Via Labicana. Una rivolta agìta a raggiera: chi colpiva si confondeva immediatamente nel corpo molle degli spezzoni, per poi riprendere l’azione in altri luoghi. Una liquidità che si è materializzata solo all’ingresso di Piazza San Giovanni.
Due attori hanno dominato la scena di Roma: la polizia e i protagonisti della rivolta. Fino a Piazza San Giovanni: l’apice dello spettacolo. È inutile spendere parole su questi eventi: i ricordi impressi nei testimoni oculari e le immagini rimbalzate sui media sono disegni più efficaci di qualsiasi descrizione. Resta da sottolineare il contesto spettacolare che ha dato vita agli eventi più importanti della giornata: non esisteva alcun fine se non la spettacolarizzazione del conflitto e gli obiettivi simbolici erano inesistenti (i palazzi del potere – il centro amministrativo della città – non sono mai stati sfiorati) o appena marginali (le vetrine di Via Cavour o le macchine parcheggiate sembravano più preludi casualidel Gran Finale che bersagli ponderati).
La rivolta in piazza è stata l’apice della scena per i due attori. Due protagonisti che hanno ottenuto entrambi una vittoria politica.
Il Ministero degli Interni esce rafforzato dal 15 ottobre: la polizia ha risposto a un attacco organizzato dei rivoltosi, su questo non può esserci alcun dubbio. La violenza di cui ha fatto uso ha atteso gli attacchi di Piazza San Giovanni prima di dispiegarsi su grande scala. Il discorso pubblico non si ricorderà delle manovre discutibili che le forze dell’ordine hanno tenuto a discapito dei manifestanti pacifici, né di una strategia attendista che ha dato l’impressione di non voler evitare gli scontri. La rivolta organizzata ha ottenuto il massimo: visibilità e successo politico. La linea del conflitto duro portata avanti in questi mesi ha dimostrato di sapersi muovere e di saper declinare pragmaticamente le proprie analisi sulla crisi. Le fiamme della camionetta rappresentano un finale previsto, auspicato e perfettamente coerente con la lettura politica dei pezzi più incazzati.
Restano gli spettatori. Coloro che sono rimasti a guardare un inizio di autunno che li ha lasciati senza ruoli attivi. La maggioranza del corteo non è stata in grado di ritagliarsi alcun ruolo da protagonista e non ha potuto agire nello scenario degli scontri.
La contestazione rivolta ai ragazzi a volto coperto e l’organizzazione dei cordoni pacifici sono stati fenomeni marginali e sempre a posteriori, sempre in risposta, a eventi controllati da altri protagonisti. Il vero tema del 15 ottobre: l’incapacità di agire e la disorganizzazione della maggioranza scesa in piazza.
Se dietro agli spezzoni inerti c’era una reale analisi politica della situazione contemporanea, essa non è riuscita a tradursi in piazza ed è rimasta soffocata dai due mattatori della giornata.
La politica è spettacolo e non si può più tornare indietro. Vince chi scrive il copione migliore. Perde chi resta passivo di altri copioni. Chi subisce le sceneggiature del potere.
Il 15 ottobre tutti coloro che hanno recitato, che hanno assunto un ruolo, hanno portato a casa un risultato politico.
Gli spettatori invece sono stati strumentalizzati – i loro corpi erano il miglior nascondiglio per chi attaccava gli spazi urbani – e della loro presenza resta solo la testimonianza di un numero immenso. La crisi culturale e politica di questo paese nasce prima di tutto da quella sinistra disorientata e schiacciata in piazza, dai lavoratori che hanno camminato e soltanto osservato, dagli studenti rimasti in fondo al corteo. La sconfitta è tutta nostra. È la sconfitta di ieri.
I rivoltosi non hanno dimostrato alcun interesse a relazionarsi con la partecipazione di piazza, con i migliaia di volti costretti a guardare, privi di parole. I rivoltosi sono rimasti così avulsi da non porsi neppure come avanguardia politica – ma anche questo è perfettamente coerente con le loro prospettive: se hanno ragione vinceranno loro, in qualche modo, in qualche futuro. Chi scrive crede che quella via politica non sia quella vincente. Al di là di ogni morale.
Ma chi scrive a Roma è rimasto inerte. E chi è rimasto inerte deve tentare di portare avanti le proprie ragioni: deve riprendere la parola e tornare a declinare la politica anche nel protagonismo spettacolare: occupare la scena insieme a tutti coloro che hanno voglia di partecipare e mobilitarsi. Deve rompere le storie già scritte, rovesciare i copioni sugli attori principali e riscrivere un’azione di piazza in grado di coinvolgere chi è restato ai margini, chi il 15 ottobre è rimasto senza politica.
Francesco Migliaccio, studente torinese,
Relazione/riflessione sui fatti di sabato 15ottobre a Roma.