[vc_row][vc_column][vc_column_text]DEMOCRAZIA E COSTI DELLA POLITICA
Un taglio serio (ora o mai più)

Ma come è venuto in mente a quelli della Conferenza delle Regioni di rimuovere dal sito la tabella con gli stipendi e le diarie dei governatori e dei consiglieri?

Diranno: ora ci sono delle leggi locali. Cliccate a caso: uno scroscio di commi, codicilli, subordinate… Non è trasparenza: è una presa in giro dei cittadini. Prima potevano confrontare vicepresidente e vicepresidente, assessore e assessore… Ora no. Davano fastidio le tabelle insolitamente chiare?

Le hanno tolte per toglier acqua ai pesci dell’«antipolitica»? È sbalorditivo che dei «professionisti» (presunti) non capiscano i danni che fanno alla politica con errori così madornali. Di questi tempi, poi… Tutti lì a chiedersi sgomenti: e ora, cosa fare? Cambiate, è la risposta. Il risultato delle urne, oltre a un mucchio di problemi, offre a un sistema in crisi l’occasione di sterzare prima dell’abisso. Facendo finalmente cose indispensabili non per tirar su una diga contro l’ondata grilliana ma per recuperare un rapporto decente coi cittadini.

Proprio il trionfo di Grillo, senza manifesti, spot o camion-sandwich, smonta la tesi abusata che «i costi della politica» (esagerazioni e privilegi compresi) siano «i costi della democrazia». Non è così. Mentre il Pil precipitava sotto ai livelli del 2001, i costi del Palazzo hanno continuato a salire: del 65% in un decennio le spese correnti del Senato, del 43% il costo del consiglio regionale del Lazio solo dal 2007 in qua. Mentre imponevano agli italiani tagli drastici e immediati, «loro» contenevano o rimandavano i propri. Tanto che i consiglieri uscenti stanno facendo le pratiche per vitalizi regionali che
qua e là si possono avere ancora a 50 anni. Proprio l’obbligo di recuperare la fiducia dei cittadini nella politica impone misure urgentissime anti Casta.

Intorno cui cercare intese. Certo, alcune richiedono modifiche costituzionali. Ma se c’è la volontà, si è visto sull’obbligo del pareggio di bilancio, si fanno in fretta.

Per rivendicare la propria centralità il Parlamento deve cambiare se stesso. Siamo gli unici al mondo a imporre a un governo di guadagnarsi due fiducie in due Camere. Non ce lo possiamo più permettere. I parlamentari devono far chiarezza sugli stipendi loro e dei collaboratori. Fanno un lavoro importante, hanno diritto a buste paga decorose. Ma basta con le ambiguità sui collaboratori. E basta con l’andazzo dei due mestieri insieme, magari usando il ruolo parlamentare a favore dei clienti privati. Nei Paesi seri chi fa il deputato fa quello e basta. Così magari s’attacca meno alla poltrona. Vale per Roma, vale per le Regioni. Ancora: va spezzato quel rapporto anomalo costruito da una classe politica mediocre con la burocrazia. Più gli eletti sono scadenti, più devono affidarsi a burocrati (spesso strapagati) che diventano gli unici in grado di fare e poi interpretare gli atti. E dunque hanno interesse a rallentare ogni svolta vera che li renda meno indispensabili.

Ma il punto di partenza, insieme con atti di rottura quali l’abolizione delle Province visto che tranne la Lega si dicono tutti d’accordo, deve essere la trasparenza. Tutto online. Senza furbizie. Dai bilanci (leggibili però…) degli organi costituzionali a quelli delle municipalizzate, dai finanziamenti ai partiti fino ai patrimoni di ministri e parlamentari: gli italiani devono poter sapere come sono spesi i loro soldi e da chi. Non sarà semplice? Non lo sarà neanche per i cittadini recuperare la fiducia perduta.

Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
2 marzo 2013

Fonte:
www.corriere.it[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]